Brunner, la vocazione dell'accoglienza

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Già membro del CdA dell’Ente Turistico Lugano, vice presidente di Ticino Turismo, Presidente Hotelleriesuisse Ticino per nove anni, Presidente del Lions Club Lugano, dello Skal Club Lugano, nonché ex Cavaliere del tartufo e dei vini d’Alba. Proprietario degli Hotel Geranio au Lac e Hotel City di Locarno, dell’Hotel City di Lugano e del ristorante Perbacco di Locarno. Fernando Brunner è la sintesi in persona dell’accoglienza in Canton Ticino.
Accoglienza con la A maiuscola. Non solo nel settore alberghiero e della ristorazione ma anche a un livello più profondo, umano, che trapela quasi con pudore quando, seduto alla sua scrivania all’Hotel Geranio au Lac, comincia a raccontarsi. La sensazione, ascoltandolo, è quella di sfogliare un libro. La semplicità con cui rievoca le proprie radici ripercorrendo ricordi ed emozioni trasmette un piacevole senso di famigliarità.
Cominciamo dal suo cognome, quali sono le origini della sua famiglia?
La famiglia di mio papà è originaria del Cantone Argovia, esattamente di un paesino che si chiama Schmiedrued. Un paese talmente piccolo da non avere neanche il cimitero, pensi! L’ho visitato solo una volta in vita mia perché i miei nonni si sono traferiti in Ticino e la storia della nostra famiglia praticamente è cominciata qui.
I suoi genitori di cosa si occupavano in Canton Ticino?
Mio padre Riccardo ha frequentato le scuole qui e dopo un po’ di esperienza in Svizzera interna è tornato a Lugano dove ha conosciuto mia madre, Elisabetta. Era il 1948 e tutti e due a quell’epoca lavoravano all’Hotel Splendide come camerieri.  L’anno successivo sono nato io e l’anno dopo ancora i miei genitori si sono messi in proprio rilevando la Pensione Minerva a Lugano Loreto. Poi nel ’56 hanno lasciato la Pensione e si sono trasferiti in quello che sarebbe diventato il nuovo Hotel Minerva, sempre a Loreto, e l’hanno gestito fino al 1983. Nel frattempo sono nati mia sorella Marisa nel ’51 e mio fratello Riccardo nel ’59.
Quindi lei e i suoi fratelli siete cresciuti respirando l’atmosfera dell’hotellerie…
Sì, io sono cresciuto in quell’ambiente: dopo la scuola i miei mi facevano anche lavorare perché allora bisognava darsi da fare tutti. Tanto che mio papà per finire si ammalò, forse proprio per l’eccessiva dedizione all’albergo. Anche per questo lui e mia madre hanno infine deciso di lasciare l’Hotel Minerva. Intanto io crescevo e assorbivo esperienza.
Quale era il turista “tipo” allora?
Ricordo bene che c’era una prevalenza di Svizzeri tedeschi e Tedeschi ma anche moltissimi Inglesi. Parlo degli anni ’50, inizio ’60, quando il turismo in Canton Ticino era in forte espansione, c’erano molte agenzie viaggio e l’Hotel era quasi sempre al completo.
Ha quindi ricordi felici di questo imprinting …
Mah … sì, però ricordo con piacere che venivo mandato spesso anche in campagna, perché la famiglia di mia mamma era ticinese – Albisetti di cognome – e viveva nella zona di Magliaso. A me piaceva molto vivere la campagna. Mi è sempre piaciuto il lavoro manuale, sono cresciuto senza la paura di usare le mani. Dopo le scuole, comunque, ho conseguito l’apprendistato di commercio e ho cominciato a lavorare nell’Hotel dei miei, fino ai 18 anni, quando mio papà mi ha mandato alla scuola alberghiera a Losanna. Il suo desiderio era che tornassi poi a casa, per gestire l’albergo di famiglia.
Dal suo tono di voce immagino che andò diversamente …
Sì perché a Losanna ho conosciuto Lise, che sarebbe diventata mia moglie. Anche lei studiava alla scuola alberghiera e da lì siamo partiti per l’avventura della nostra vita lavorando per diversi prestigiosi alberghi. Dal Claridge’s e Savoy di Londra, al Kempisky e l’Hilton di Berlino, al Sas Scandinavia a Copenaghen. Fino a che nel ’74 mi è giunta una proposta di direzione a Lugano, allora avevo 25 anni e l’idea mi piaceva. Dopo il colloquio con il proprietario dell’Hotel Eden, Provera, proprietario anche dell’Hotel Arizona sempre a Lugano, siamo stati entrambi assunti – mia moglie ed io – come direttori dell’Hotel Arizona, appunto.
Mi permetta un passo indietro: prima ha detto che suo papà l’ha mandato a Losanna…ma era anche un suo desiderio o ha assecondato il volere paterno?
Non credo proprio fosse un mio desiderio, la mia indole è quella del “fare”: a scuola riuscivo bene in matematica, geometria e disegno. Se non fossi andato a Losanna oggi sarei certamente un architetto o un ingegnere. Però la mia strada ha preso quella direzione e devo dire che ho intrapreso la professione di albergatore con grande passione e voglia di fare e oggi non me ne pento.
Con sua moglie sempre al suo fianco anche nella professione?
Sempre. Nel ’78 siamo riusciti ad acquistare l’immobile diventando proprietari dell’Hotel Arizona che abbiamo tenuto per 11 anni. Lei si è sempre occupata della parte “front” dell’accoglienza, cioè della ricezione dei clienti, io più della contabilità e dei servizi dietro le quinte, come la cucina.
Come mai avete scelto di vendere l’Hotel?
Negli anni ’80 c’è stato un forte surriscaldamento immobiliare e la tentazione di vendere è stata irresistibile, anche perché sentivo bisogno di cambiare, ero un po’ “stufo” di fare l’albergatore. Pensavo di fare un buon affare per dedicarmi insieme a mia moglie a qualcosa di completamente diverso. Devo aggiungere che in quel momento avevamo già i nostri tre figli: Stefan del ’74, Maria del ’77 e Giulia del ’80. In quegli anni non mostravano particolare interesse per l’Hotel, non venivano nemmeno spesso in albergo, quindi non pensavamo che avrebbero preso questa strada. Così abbiamo venduto, non sono mai stato legato alle strutture in sé.
E i suoi figli che interessi hanno mostrato crescendo?
Si sono imbarcati nel settore, con mio grande orgoglio devo ammettere. Stefan ha frequentato la scuola alberghiera di Losanna e ha già molte esperienze come direttore, così come Maria che oggi gestisce l’Hotel City a Lugano. Giulia avrebbe voluto diventare maestra, e così è stato per un po’, ma dopo qualche anno ha scelto di dirigere con me questo Hotel.
E lei e sua moglie a cosa vi siete dedicati dopo la vendita dell’Arizona?
Dopo un paio d’anni sabbatici ci è stato offerto di dirigere il Parco Maraini, a Lugano. Un’esperienza per me nuova perché il Parco includeva una residenza per anziani, una clinica, un centro diagnostico e in seguito anche un Park Hotel ****. Era il 1992 e come ex direttore d’albergo mi son trovato catapultato in una bellissima esperienza che mi ha insegnato molto.
Avrà avuto contatto con i pazienti, una realtà ben diversa da quella dei clienti di un Hotel …
Certamente, essendo una clinica internistica c’erano anche casi di pazienti gravi. Avevo diretto contatto con la sofferenza, così come con gli anziani ospitati lì. Per questo avevo deciso di creare all’interno del Parco anche un settore di Aparthotel, visto che la zona ristorazione già c’era. Tuttavia la mia idea andava contro la mentalità diffusa ticinese riguardo la gestione della terza e quarta età, e rispondeva piuttosto a quella della Svizzera interna.
Quale sarebbe questa differenza di mentalità?
Il Ticinese anziano non è – o almeno non era a quell’epoca – abituato a lasciare casa propria per un ricovero fintanto che lo stato di salute lo imponga, al contrario degli Svizzeri tedeschi e francesi. Il principio della residenza per anziani, invece, era ed è proprio quello di accogliere l’anziano quando ancora è autonomo, in un ambiente protetto e sicuro. Oggi le cose sono cambiate e anche in Ticino si nota un proliferarsi di queste strutture. Solo dopo qualche anno ho deciso, insieme a mia moglie, di accettare la direzione di un altro grande complesso per la terza età a Locarno Muralto, la Residenza al Parco. Era il 1998 e l’abbiamo gestita per 13 anni.
È raro vedere moglie e marito così affiatati anche nel lavoro e dopo così tanto tempo…
Sì, addirittura nel 2007 abbiamo costituito la Hospitality & Gastro Services, una società di consulenza alberghiera, e sempre nello stesso anno abbiamo rilevato questo Hotel, il Geranio au Lac, e aperto il ristorante DiVino, sempre qui a Muralto.  Mia moglie si è occupata principalmente del Geranio.
Moglie e figli, una bella squadra di lavoro in costante espansione …
Sì è vero! É stato sette anni fa che assieme un mio caro amico d’infanzia, Gilberto Bernasconi, abbiamo deciso di investire in un nuovo Hotel. Nel 2014 abbiamo aperto l’Hotel City a Molino Nuovo a Lugano, che gestisce mia figlia Maria, appunto. Abbiamo ottime referenze e quest’anno è arrivato secondo quale miglior albergo svizzero nel settore business.
C’è differenza tra il cliente “tipo” di Locarno e quello di Lugano?
Sì, la differenza è molto sentita. Mentre qui a Locarno il cliente è innanzitutto il turista, a Lugano è il businessman, quindi i soggiorni e le esigenze sono differenti. Si nota anche da come sono vestiti i clienti, tipicamente vacanzieri gli ospiti locarnesi, più formali quelli luganesi. Di conseguenza l’Hotel City di Lugano è gestito in funzione del target e mia figlia Maria è molto brava in questo.
Anche qui a Locarno avete un Hotel City, vero?
Sì, dal 2016 e l’abbiamo chiamato così proprio per creare un trait d’union tra due alberghi di città, gestiti con la stessa logica. Questo City, a differenza di quello di Lugano, ha anche un ristorante, il Perbacco, nato quest’anno rivoluzionando completamente il locale preesistente, e già ha un buon successo. Siamo molto contenti.
Il successo è una spinta verso il futuro…ha qualche progetto in cantiere?
Qualcosa all’orizzonte c’è, un orizzonte non molto lontano, ma aspettiamo a rivelare a tutti di cosa si tratta … A lei però posso dirlo …
Complimenti! Appuntamento alla prossima intervista allora, per soddisfare la curiosità dei nostri lettori!
Volentieri. Anche perché il prossimo anno arrivo ai 70, i miei figli mi hanno dato 8 nipoti e quindi vorrei avere ancora tanto da fare, da dare e da raccontare prima di ritirarmi. Ho accumulato davvero tanta esperienza che spero di poter lasciar loro, anche perché i miei tre figli sono tutti azionisti, la società è la famiglia Brunner. Nel nostro sangue scorre senz’altro la vocazione dell’accoglienza.
Quattro passi insieme sul lungolago e terminiamo la gradevolissima chiacchierata davanti a un caffè, al Ristorante Perbacco, parlando un po’ di hockey e di ciclismo. E lì, off the record, Fernando Brunner mi confida quanto sia sempre stato timido e riservato, sin da bambino. Forse a corollario di una particolare sensibilità empatica, la stessa che anima il suo senso dell’accoglienza. La stessa, per cui cerca sempre di creare armonia tra il suo personale, premiando e motivando il lavoro. E lo si vede. Si vede dall’accoglienza calorosa e spontaneamente affettuosa che lui stesso puntualmente riceve da ognuno dei suoi dipendenti. È proprio vero, penso accomiatandomi, che nella vita si raccoglie ciò che si semina.
Pubblicato su Ticino Welcome di Settembre