Essere e non essere (Privé)

Siamo tutti altrove. E i luoghi di transito lo dimostrano esemplarmente.
Stazioni ferroviarie, aeroporti, porti sono tutti immensi spazi liquidi in cui le persone galleggiano come minuscole bolle sulla scia invisibile di un tragitto già abbozzato.
Siamo tutti in viaggio. Qui, adesso. Eppure contemporaneamente siamo fermi. Proiettati là, altrove. Spesso lontanissimo da quel preciso istante che ci scolpisce con lo zaino infilato in spalla e un piede sulla scaletta di un treno in partenza.
E quell’altrove che rapisce ognuno di noi lungo la strada sta esattamente in una mano. In quello specchio riflesso che ci libera e ci lega, ci connette e ci estranea. Quella porzione di universo che maniacalmente stringiamo, appendice del nostro stesso corpo, ci ingloba nei pensieri della voce di turno che ci chiama. Voce che soffoca i silenzi, che si fa presenza e che azzera le distanze.
Così, reciprocamente, proseguiamo il nostro viaggio in compagnia di invisibili presenze che assumiamo in dosi regolari, come drogati dipendenti di un illusorio piacere viscerale. E ci frammentiamo come luce dentro un prisma, alternandoci in scenari che si sovrappongono in un surreale essere e non essere.
Cosa accadrebbe se all’improvviso restassimo tutti orfani della tecnologia prêt-a-porter che ci espande, ci rimbalza e ci diffonde? Saremmo “solo” qui, adesso, in questa stazione brulicante di disordine, di gesti rapidi, e di sguardi distratti. Saremmo forse più soli, chissà. O, forse, liberi finalmente di guardarci negli occhi di chi ci sta accanto, scopriremmo che, dopo tutto, il vero “altrove” è dentro di noi, anche in silenzio. Sempre e comunque.