José Botero, il pioniere del caffè

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Un susseguirsi di soffici valli baciate dal sole dei Tropici. È lo straordinario panorama che si profila al viaggiatore giungendo nel cuore della Colombia, precisamente a Quindio, una delle regioni più fertili e ricche di piantagioni di caffè che pettinano con gentilezza l’esuberanza della natura.
Non è certamente lo stesso scenario in cui si devono essere imbattuti secoli fa i primi esploratori avventuratisi in questi luoghi ameni con la speranza di fare fortuna cercando una delle sue più grandi ricchezze: l’oro. A quel tempo era la foresta a regnare sulle montagne colombiane, in seguito addomesticate dalla mano sapiente dell’uomo che ha saputo valorizzare il territorio coltivandolo.
Dalle vene aurifere, dunque, a quelle dell’agricoltura e soprattutto delle piantagioni di caffè.
Sì, perché è qui che ancora oggi si produce uno dei caffè più straordinari al mondo. Anzi, sarebbe più corretto parlare di “caffè” al plurale, perché Dona Botero declina la sua produzione in un ventaglio di varianti originali e inimitabili partendo dalla stessa squisita matrice: quel piccolo miracolo che è il chicco di caffè.
È scontato per noi oggi prendere una capsula, premere un tasto e gustare il piacere concentrato di un fumante espresso. Piccoli gesti abituali cui non sapremmo rinunciare che, tuttavia, rappresentano solo il traguardo più recente di una storia cominciata lontano nel tempo.
Nonno José e il tesoro dei Quimbaya
Quella del caffè Dona Botero risale al 1892, quando Don Josè Jaramillo Vallejo eredita i terreni dell’Eden Valley. In verità le sue origini affondano addirittura nella cultura rinascimentale italiana, quando il genovese Andrea Bottero Bernardi salpa sulla caravella Santa Rosa e raggiunge le terre di Antioquia, nel nuovo regno di Granada in Colombia, dove semina le primissime piantagioni di caffè Arabica e Borbon.
Nonno José Jaramillo Vallejo merita una parentesi perché senza di lui, probabilmente, non avremmo il piacere di bere questi caffè. É uno tra i primi coloni ad approdare in Colombia, nella zona del Quindio, appunto. Lungimirante, avventuroso o semplicemente attratto da questo luogo dal nome evocativo, perché in lingua Quechua “Quindio” significa “paradiso”. Un paradiso terrestre dove in seguito sarà fondata la città di Armenia. Anche nonno José giunge qui in cerca dell’oro dei Quimbaya, un tesoro che tuttora pare essere in parte custodito sotto terra, racchiuso nelle antiche tombe tradizionalmente arricchite anche con preziose ceramiche. Molti di questi gioielli precolombiani sono oggi sotto tutela del Museo de Las Americas, a Madrid, dove possono essere ammirati in tutto il loro splendore. Nonno Josè, ancor prima di rappresentare il pioniere del caffè, è ricordato per essere stato un amante della cultura Quimbaya e un appassionato collezionista d’oggetti d’arte legati ad essa. Dall’amore per l’arte a quello per la terra, perché decide di stabilirsi definitivamente a Quindio, promessa di rigogliosi frutti. La piantagione El Arco, dove oggi si produce il caffè Dona Botero, ne è la testimonianza e questa straordinaria avventura umana è raccontata in un libro che nonno Josè ha voluto scrivere e lasciare alla sua famiglia. Oggi l’azienda è guidata dalla tredicesima generazione di famiglia, con l’architetto Jose Guillermo Botero.
Il segreto dei caffè Dona Botero
Ma qual è il segreto di un caffè che si distingue completamente dagli altri? Dona Botero impiega innanzitutto un’Arabica di altissima qualità, raccolta a mano durante tutto l’anno da una industriosa generazione di coltivatori particolarmente sensibile alla tutela dell’ambiente. Riforestazione e pulizia delle acque, infatti, fanno parte della filosofia Botero e la Natura pare esserne grata restituendo frutti eccezionali. Dalla terra alla tazzina si inserisce poi una lunga e attenta lavorazione. Che sia in miscela, in capsule o in filtri, il caffè Botero si distingue per tecniche di manipolazione (lavatura, essicazione, fermentazione di 12 o 24 ore) che infondono una personalità unica ai prodotti. I vari tipi di caffè che ne escono sembrano tante variazioni sul tema di un’armoniosa melodia che fa danzare i sensi.
In particolare, il Caffè Verde, ricavato dalla varietà “Armenia Supremo”, è una vera chicca: anche nelle versioni aromatizzate all’anice stellato, finocchietto selvatico e zenzero è un effluvio di sensazioni inconsuete che fa cantare la tazzina. Si tratta di un caffè verde crudo, completamente naturale, macinato, che non subisce alcun processo di torrefazione. Si distingue da quello classico per aspetto, aroma, sapore e caratteristiche nutrizionali. La sola proprietà comune con il caffè tostato è la presenza di caffeina ma gli effetti stimolanti qui sono moltiplicati. Nel caffè verde, infatti, la caffeina non è libera ma legata all’acido clorogenico, un potente antiossidante che induce un assorbimento più lento rispetto al caffè tradizionale con un conseguente effetto energizzante e, pare, dimagrante. Inoltre, essendo più vicino alla neutralità del Ph, produce un effetto lesivo minore sulla mucosa gastrica, evitando quel fastidioso bruciore di stomaco a volte risvegliato da un caffè non perfetto.
Ma queste proprietà passano in second’ordine quando arriviamo, finalmente, al nostro consueto appuntamento con uno dei caffè Dona Botero. Un piacere gustativo intenso e prolungato, almeno quanto la sua straordinaria storia.
www.donabotero.coffee