Palermo, "fiore" all'occhiello della cultura italiana

“L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine alcuna nello spirito. Qui è la chiave di ogni cosa.” Leggendo queste parole pare di vedere gli occhi di Goethe, innamorati di un’isola che tanto decantò nei suoi scritti. Da quando l’illustre scrittore tedesco visitò per la prima volta il nostro Paese, nel 1787, la Sicilia ha conservato tutto il suo fascino restando fedele a radici profonde e antiche che traboccano dai profili delle città e dalle tradizioni dei Siciliani. E se “qui è la chiave di ogni cosa”, Palermo rappresenta la sintesi perfetta dell’intera Sicilia con il suo caleidoscopico teatro a cielo aperto che cuce sacro e profano, in un dipanarsi di scenari che incantano lo sguardo anche di chi poeta non è.
Non sorprende che la città sia stata nominata “Capitale italiana della Cultura 2018” rubando lo scettro ad altre candidate di notevole levatura. Sarà l’esuberanza del barocco che anima palazzi e chiese di vita propria, sarà la sensualità che scorre nelle vene del centro storico per sfociare nel mare, sarà l’energia che trabocca dai mercati accesi di voci o saranno i giardini profumati di gelsi, oleandri e limoni. Fatto sta che i tanti volti di Palermo sembrano ricamare un arazzo di raro sincretismo che suscita coinvolgimento e ammirazione.
La motivazione dell’assegnazione del titolo premia tuttavia anche un’ambiziosa sfida: l’impegno della città a prendersi cura del suo patrimonio artistico attraverso un progetto di rinnovamento che è stato valutato dalla giuria “originale, di elevato valore culturale, di grande respiro umanitario, generosamente orientato all’inclusione, alla valorizzazione del territorio e delle produzioni artistiche e contemporanee”.
L’architettura della città racconta sapientemente le sue stagioni storiche e rifiorisce anche grazie a questo premio che traduce complessità urbanistiche e contraddizioni sociali in spinte rigenerative. “Zyz”, così la battezzarono i Fenici quando la fondarono, vedendo non a caso un “fiore” in quello che era all’epoca pressoché un villaggio affacciato sul Mediterraneo. Un bellissimo fiore in divenire che nei secoli ha attirato anche Greci, Romani, Arabi, Normanni e Spagnoli, ognuno dei quali ha elargito a Palermo saperi e sapori di popoli molto diversi tra loro, contribuendo così alla definizione del mosaico caratteriale della città.
Architettonicamente parlando, la Cattedrale è un po’ lo specchio ideale di questa commistione culturale perché riunisce in sé tutti i linguaggi artistici che si sono avvicendati nel tempo, compreso quello musulmano, con un tocco d’inconfondibile stile normanno che le infonde un’atmosfera regale piuttosto che sacra. Ogni chiesa della città, in verità, sposa spirito e materia, divino e terreno: dalla Chiesa di San Domenico con il suo austero barocco alle Chiese della Martorana, di San Cataldo e di San Giovanni degli Eremiti con gli echi arabeggianti, a testimonianza della conversione degli antichi templi musulmani in edifici cristiani.
Anche Palazzo Reale, o dei Normanni, riassume le diverse dominazioni vissute dalla città. La facciata, con il suo stile eterogeneo, si lascia sfogliare come un libro di storia, mentre all’interno gli sfolgoranti mosaici della Cappella Palatina ipnotizzano lo sguardo dettando un sentimento di estatica contemplazione. La convivenza nelle decorazioni di simboli squisitamente cristiani con scene di vita tipicamente musulmane crea un’armonia che trascende la bellezza estetica e porta a sentire come culture tanto distanti possano allacciarsi in un contesto superiore quale è l’arte.
Non a caso, sulla facciata del Teatro Massimo di Palermo, sta incisa la frase: “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire.”
Tuttavia la cultura non è racchiusa solo nell’arte, bensì emerge anche nello scorrere della quotidianità. Le fragranze delle spezie, i colori delle stoffe, i profumi della frutta e il vociare della gente. Quest’insieme è un’altra opera d’arte di Palermo, rappresentata dai suoi mercati storici, luoghi senza tempo dove non si scambiano solo cibo e merci ma anche emozioni. Ballarò, Capo e Vucciria sono beni ambientali di matrice culturale, simboli della sicilianità più passionale. Dai vicoli stretti e tortuosi come budelli si sfocia in ariosi cortili dove l’odore dei pesci esibiti sui banchi si mescola a quello degli sfincioni colorati di sole, tutto il bello e il buono del mare e della terra tramandato da secoli, come le pennellate energiche di Guttuso hanno magistralmente immortalato. Così come le chiese di Palermo evocano la materialità del potere temporale, i mercati brulicanti di vita trasmettono una sorta di spiritualità, attraverso gesti e rituali che sembrano ripetersi identici nel tempo.
La tradizione del mercato conduce irrimediabilmente a quella della cucina e al piacere del cibo, ennesima espressione di cultura di una città esuberante anche a tavola. Dalle panelle alle arancine, dalle granite ai cannoli il sapore delle ricette tramandate da secoli si declina nella fantasia di donne e uomini che sanno esaltare la generosità del territorio, invitando i commensali di tutto il mondo a sentirsi parte di questa meravigliosa terra. Un motivo in più questo per visitare la città e condire i numerosi appuntamenti in programma dedicati a “Palermo Capitale italiana della Cultura 2018” con intriganti piatti e ottimi vini, gustando scenari d’indimenticabile bellezza. Per dirla con Goethe: “… La purezza dei contorni, la soavità dell’insieme, il degradare dei toni, l’armonia del mare, del cielo, della terra … chi li ha visti una volta non li dimentica per tutta la vita.”