DAL MONTE GENEROSO ALLA VALLE DI MUGGIO, UN VIAGGIO TRA LA MEMORIA DEL PASSATO E L’ORGOGLIO DEL PRESENTE

 
La Svizzera evoca nell’immaginario collettivo un regno privilegiato fatto di banche, bunker, orologi e buon cioccolato. In realtà questa Nazione possiede tradizioni secolari semplici e umili, legate all’agricoltura, alla lavorazione dei prodotti di allevamento e alla dedizione di un ambiente prezioso che ancora oggi conserva pressoché intatta la sua naturalezza.
In particolare questo vale per il Canton Ticino. Quella linea ideale che separa, e collega, Svizzera e Italia rappresenta una ragione in più per difendere e preservare radici culturali e bellezze ambientali che sono l’anima autentica del Cantone. L’uso abituale del dialetto pure tra i giovani, parlato anche in trasmissioni televisive culturali, è un eloquente esempio di quanto i Ticinesi vadano fieri delle proprie origini rurali. Svizzeri italiani, dunque, anche se culturalmente parlando, il grande statista ticinese dell’800, Stefano Franscini, amava rovesciare i termini, definendo se stesso come “italiano svizzero”.
Differenze e somiglianze tra due popolazioni così vicine sfumano e perdono consistenza quando a parlare non è più il linguaggio dell’Uomo bensì quello della Natura. Sì, perché la Svizzera immediatamente confinante con l’Italia, oltre a costituire un indiscutibile continuum paesaggistico, offre un teatro naturale d’indiscussa seduzione che mette tutti d’accordo sulla necessità di preservarlo e tramandarlo, al di là di ogni appartenenza geografica.
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L’anima “generosa” della montagna svizzero italiana
Il Monte Generoso è la prima vetta importante che sovrasta da un lato la Svizzera e dall’altro l’Italia. Un tetto panoramico tra i più affascinanti dell’intero territorio elvetico che con i suoi 1704 metri permette di ammirare dall’alto la Lombardia con la regione dei laghi e la catena del Gran Paradiso, dal Monte Rosa al Cervino, dalla Jungfrau al massiccio del Gottardo. Quassù si arriva anche solo per godersi lo spettacolo emotivo donato dai tramonti albicocca e dalle aurore rosazzurre, quando il sole pare voler restare sospeso tra cielo e terra in un mare di colori senza tempo.
Molti sono i percorsi escursionistici che permettono di raggiungere la Vetta partendo da Capolago, Rovio, Mendrisio, Castel San Pietro e dalla Valle di Muggio. Risalendo ognuno di questi sentieri è un piacere sostare nei punti panoramici di San Nicolao e Bellavista, per ossigenarsi all’ombra delle mille sfumature di verde che le pendici del monte sfoggiano, soprattutto in primavera e in estate quando anche la peonia selvatica, che solo qui in tutta la Svizzera fiorisce, regala il suo tocco di colore.
Tutte le attività praticabili sulla montagna – dal rampichino al parapendio, dalle racchette al semplice jogging fino al birdwatching – rappresentano un’occasione per allentare le tensioni del quotidiano vivere e ritrovarsi in pace con se stessi, circondati da un silenzio che abbevera la mente. Avventurarsi verso la Grotta dell’Orso, percorrere il Sentiero dei Pianeti o ancora il sentiero delle Nevère è un modo per immergersi ancor di più nell’anima della montagna, generosa per natura. Infatti il suo nome, “Generoso”, venne dato dai contadini e dagli allevatori che qui trovarono pendici e pascoli particolarmente abbondanti per sostentare i propri animali. Camosci, caprioli e cavalli, quelli del Monte Bisbino, ancora oggi scorrazzano liberi sotto lo sguardo severo di falchi, nibbi e poiane, un meritato premio per chi osa spingersi a piedi fin quassù.
Un Fiore di pietra a due passi dal cielo
Un’impresa ingegneristica imponente come la montagna eppure leggera come un fiore, nata da uno schizzo a matita nello studio di Mendrisio, dove Mario Botta – l’architetto ticinese, classe 1943, spirito senza età – lavora circondato da centinaia di manuali di design.
È il Fiore di pietra, l’edificio che da quest’anno ha fatto rinascere la Vetta del Monte Generoso. Esattamente 150 anni dopo l’inaugurazione del primo albergo, quello di Carlo Pasta, aperto l’8 aprile 1897, la montagna rinasce sotto forma di fiore con il progetto disegnato e realizzato dal genio creativo di Mario Botta, riaprendo le sue braccia, pronta ad accogliere quanti amano la montagna, la natura, il sole e il buon cibo.
L’edificio è stato commissionato dalla Ferrovia del Monte Generoso per restituire alla montagna e ai comuni circostanti un ruolo centrale, di complicità turistica e culturale tra Italia e Svizzera. Un vero e proprio dono dal cielo per Mario Botta e per tanti come lui che, da adolescenti, salivano quassù per vedere sorgere il sole o per toccare le stelle.
Un territorio di iniziazione, dunque, il cui spirito è sintetizzato proprio nel Fiore di pietra: i due ristoranti ospitati al suo interno e la sala conferenze sono per l’architetto solo un pretesto per prendere possesso di una terra, di un luogo che è un tòpos. Partendo dal piacere del mangiare e del bere e dello stare assieme, quel luogo assume un significato simbolico e comincia a raccontare di sé a chi lo assapora.
Il Fiore di pietra è raggiungibile con sana fatica a piedi, oppure con un trenino a cremagliera che da Capolago s’inerpica con pazienza sulla montagna per consegnare i turisti ad un posto in prima fila a due passi dal cielo. L’edificio appare in lontananza come un’espressione stessa della montagna, che tesse un armonioso dialogo con il paesaggio. Perché per Botta l’architettura è un mestiere fatto non per costruire in un luogo ma per costruire quel luogo, interpretandone l’anima: «Volevo darle una forma centrale – ha spiegato Botta – come una chiesa ortodossa, bizantina… C’è una forma di sacralità laica».
Sacralità laica, parole che svelano l’impatto che l’opera intende avere sui suoi fedeli visitatori: sensazioni di libertà, leggerezza, voglia di sentirsi librare sospesi senza più la terra sotto i piedi.
Dietro la leggerezza si celano tuttavia i segreti dell’edificio: alla base del Fiore di pietra, mediante una serie di micropali (barre di acciaio) di lunghezza variabile tra i 15 e i 25 metri, per un totale di 600 metri, sono stati cuciti verticalmente gli strati inclinati della roccia calcarea. Operazione ardua data la difficoltà di trasportare il materiale fin lassù, ma indispensabile per garantire stabilità al masso roccioso.
L’altra sfida lanciata è stata proprio quella di non costruire una strada per raggiungere la vetta: è stato sfruttato il treno a trazione elettrica con corse giornaliere, raramente la locomotiva diesel e ancor più raramente si è ricorsi agli elicotteri per non violare il silenzio della montagna. In due anni di lavori sono state fatte 3.000 corse (6.000 contando andata e ritorno) per trasportare oltre 20.000 tonnellate di materiale.
Una costruzione in cemento armato tradizionale, con una struttura portante semplice, ridotta all’essenziale, di pianta ottagonale dalla quale si levano i petali che si schiudono aprendo l’edificio verso l’esterno, dalla terra al cielo.
«L’uomo ha bisogno di infinito – spiega ancora Botta -. Bisognava dunque andare oltre la funzione Questa era la forma da introdurre per le pareti, qualcosa per cui se ti ci trovi dentro, voli!».
Il monte, dunque, come 150 anni fa, torna ad essere… Generoso.
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Le Nevére, la memoria della Montagna
Salendo da Capolago, le ripide pareti del Monte Generoso appaiono come una barriera insormontabile e al contempo una sfida da non perdere. L’itinerario delle Nevère a 1600 metri è un invito a percorrere il crinale orientale per raggiungere l’insediamento di Nadigh, ricalcando quei sentieri che i contadini dei tempi che furono solcavano quotidianamente tra coraggio e fatica. Nevère, ovvero case di pietra e tetti in piode di calcare, un’architettura geniale che rispondeva a tutti i bisogni della vita rurale, tanto semplice quanto dura. In inverno le casette in pietra venivano riempite di neve (da qui il nome) per avere nelle estati calde un luogo fresco in cui conservare il latte prima di trasformarlo in burro e formaggio. La Nevèra (N22) di Génor Caseret, restaurata dal Museo etnografico della Valle di Muggio, è aperta e visitabile, un tassello di preziosa memoria recuperata dal passato della Montagna.
Valle di Muggio, orgoglio di sostenibilità rurale
Sino a pochi decenni orsono, in Valle di Muggio – sul versante svizzero del Generoso – come in buona parte del Canton Ticino, l’uso agricolo del territorio perseguiva essenzialmente l’autosostentamento. L’acqua piovana, per esempio, veniva immagazzinata nelle cisterne e la scarsità di terreni adatti alla campicoltura obbligava al terrazzamento dei pendii in prossimità dei villaggi. Paiono secoli fa, in realtà basta voltarsi un poco indietro per ritrovare alle nostre spalle padri e nonni a tu per tu con la fatica quotidiana di questo piccolo mondo contadino. Queste tracce di sostenibilità vissuta sono oggi in parte ancora ben visibili e suscitano orgoglio e ammirazione. L’eccezionale stato di conservazione di questo tesoro di edilizia rurale, distribuito lungo le pendici verdeggianti della Valle, è collegato da un‘imponente rete di vie di comunicazione storiche, un dedalo di sentieri che nel 1980 ha contribuito alla nascita del Museo Etnografico della Valle di Muggio (MEVM).
Altra eredità della società rurale della Valle è un prodotto tipico che recentemente è stato preso sotto l’ala protettrice di Slow Food. Si tratta di un formaggio a pasta cruda molto particolare, lo Zincarlìn de la Val da Mücc, che già solo all’olfatto impone la sua personalità. Gelosie tra contadine custodi della ricetta originale e ingredienti segreti impediscono di conoscere fino in fondo l’anima di questo formaggio. Di certo si sa che è ottenuto da latte vaccino con l’aggiunta di latte di capra, erbe aromatiche e pepe. La sua forma è inconfondibile e ricorda quella di un ricco arancino di riso siciliano. Lasciato maturare per due mesi perde parte del suo peso e questo giustifica sia il sapore deciso sia il costo non proprio a buon mercato. La lavorazione è completata con vino bianco e sale, per evitare il formarsi di muffe, ma una variante molto audace lo propone innaffiato di gin: da qui il Gincarlìn, una versione particolarmente suadente e nient’affatto alcolica.
La maturazione dei formaggi avviene in cantine semi-interrate, con caratteristiche specifiche al massiccio del Monte Generoso, attraversate da correnti naturali d’aria fredda che mantengono l’ambiente inalterato durante tutto l’anno. Queste ormai rare e preziose cantine rappresentano, forse, le vere “banche” del Canton Ticino! Aprire la porta di queste celle di pietra odorose di storia – come quella del Grotto del Giuvan a Salorino – e lasciarsi inondare dalle zaffate pungenti dei formaggi esposti come cimeli è un’esperienza olfattiva che trasporta lontano. Proprio là, nel passato, quando le fiere contadine della Valle di Muggio impastavano i primi Zincarlìn e nessuna di loro ancora immaginava cosa potesse essere Slow Food!
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L’Articolo è anche su Agenda Viaggi
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