LA SACRALITÁ LAICA DEL FIORE DI PIETRA

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Ricordi di gioventù che sbocciano come fiori.
Da adolescente in circa tre ore di buon cammino raggiungevo quella che era la vetta più vicina a casa ma anche più vicina al cielo. E contemporaneamente rappresentava per me un rito iniziatico: la fuga verso la libertà, la trasgressione, il rifugio dove volare in compagnia dei miei desideri e dei miei primi intimi affetti. Salirci a piedi, nonostante la presenza del trenino a cremagliera, aggiungeva un’adrenalinica emozione alla missione: il sudore sulla fronte, il sapore della fatica, l’energia nei muscoli rendevano ancora più prezioso e goloso l’obiettivo da raggiungere, dilatando nel tempo l’attesa.
Oggi la Vetta del Monte Generoso riapre le sue braccia, pronta ad accogliere i nuovi pellegrini dell’escursionismo, del trekking, del parapendio e di tutti coloro che amano la montagna, la natura, il sole e, perché no, il buon cibo.
La montagna più a sud della Svizzera, che con i suoi 1700 metri di altezza sorveglia il bel lago di Lugano svettando sui tetti di Mendrisio e Capolago, inaugura il suo nuovo look sabato 8 aprile, dopo un meticoloso restyling durato circa due anni. Esattamente 150 anni dopo la sua nascita (l’8 aprile 1897 si inaugurava il primo albergo del Monte Generoso, quello di Carlo Pasta) la montagna rinasce sotto forma di fiore: è il Fiore di pietra, imponente edificio disegnato e realizzato dal genio creativo dell’architetto ticinese Mario Botta. Un’impresa ingegneristica imponente come la montagna eppure leggera come un fiore e che al suo interno ospita due ristoranti il cui piatto forte è certamente unico: il panorama. Le Alpi da un lato, che s’innalzano a nord, i prati dalla parte opposta, che scivolano verso sud: sono le due anime del Generoso, così diverse l’una dall’altra eppure amiche. Dall’alto della sua cresta lo sguardo abbraccia sia la Pianura Padana sia il bacino del Ceresio, rendendo il mendrisiotto non più terra di confine e di separazione bensì link di sorellanza tra Italia e Svizzera, unite dalla bellezza di una natura immutata.
La Vetta è raggiungibile, oltre che con sana fatica a piedi, anche grazie allo stesso trenino a cremagliera che da Capolago s’inerpicava con pazienza sulla montagna per consegnare i turisti di allora a quello che era stato per tanti anni il ristorante del Generoso, il Mövenpick, un enorme scatolone senza poesia. Al suo posto, oggi il Fiore di pietra appare come un’espressione stessa della montagna, che tesse un armonioso dialogo con il paesaggio. Perché per Botta l’architettura è un mestiere fatto non per costruire in un luogo ma per costruire quel luogo, interpretandone l’anima: “Volevo darle una forma centrale – spiega Botta sul Corriere del Ticino – come una chiesa ortodossa, bizantina… C’è una forma di sacralità laica.
Sacralità laica, parole che svelano la vera imponenza di un’impresa architettonica e l’impatto che avrà sui suoi fedeli visitatori. La sensazione che il Fiore di pietra promette di donare, infatti, è di libertà, di leggerezza, di sentirsi librare sospesi senza più la terra sotto i piedi. Quella stessa libertà che l’adolescente di allora ormai donna potrà ancora provare grazie alle emozioni di un Fiore che sta per sbocciare.
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