ALLA RICERCA DEL SAPORE PERDUTO

 
 
Nel mio frequente bazzicare tra ricette, locali e fornelli in cui regnano i sapori più eccellenti e stravaganti, m’imbatto sempre più spesso nella condivisa rivalutazione della cucina casalinga, profondamente apprezzata sia da chi la propone sia da chi la consuma.
Noto, cioè, che di fronte allo stupore della multiforme filosofia gastronomica creativa, in cui gli chef in toque blanche appaiono come magnifici maghi di Oz a caccia di stelle, vince la disarmante e nostalgica semplicità della tradizione culinaria. E forse dietro le spiegazioni più diffuse e superficiali che giustificano questa tendenza – quelle cioè che s’appellano alla salute, al benessere, alla conoscenza del territorio e alla spesso millantata promozione di prodotti a ‘km 0’ capaci di trasformare il nudo desco in un rigoglioso orto – s’annidi una spiegazione molto più profonda, personale, intima direi.
E’ solo una mia ipotesi che, tuttavia, interrogandomi mentre scrivo di questi argomenti, trovo tanto plausibile quanto piacevole.
Non potrebbe essere, cioè, che questa rinata attrazione per i sapori, le fragranze e le ricette casalinghe, quelle ‘della nonna’, risponda a un’esigenza di tornare alle proprie radici interiori, ai propri archetipi … di tornare, insomma, davvero a casa. Metaforicamente, ovviamente: quella sensazione di ‘casa’ che alberga dentro ognuno di noi. Un’attrazione che risponda, cioè, al desiderio di riscoprire quelle atmosfere emotive che ci sono appartenute da piccoli, atmosfere di fiducia, condivisione, non necessariamente sempre spensierate, beninteso, ma comunque vissute e poi perdute, perciò inevitabilmente vive anche nelle loro ombre.  Echi di atmosfere emotive che, attraverso il cibo, riemergono con ancor più piacevole esuberanza perché si sa che i sensi solleticano anche l’anima, oltre al corpo. Il cibo risveglia, infatti, memorie consapevoli ma anche sentimenti soffusi, magari impercettibilmente dissolti nel tempo eppure sempre lì, a bussare alla nostra consapevolezza.
E allora mi chiedo se questa cosiddetta cucina casalinga, famigliare, tradizionale che tanti, tantissimi grandi chef e ristoratori sempre più spesso tornano a proporre con successo, ebbene non affondi il suo perché in un meccanismo psicologico, prima ancora che commerciale, economico e d’immagine. Funzioni, insomma, un po’ come la madeleine di Proust.
Sarebbe bello fosse così. 
L’eccentricità di una cena creativa somiglierebbe, allora, a una focosa scappatella di cui approfittare ogni tanto per gioco … eccitante, sì, ma poi, se ripetuta a oltranza, ecco che probabilmente perderebbe sapore e si spegnerebbe del colore della trasgressione. Mentre il piacere del sapore di casa, quello non muore mai e anche se a tratti può scolorire poi ritorna puntuale a ricordarci chi siamo, come un boomerang al cuore. 
Se così fosse, questa consapevolezza aiuterebbe forse un po’ tutti a guardarsi dentro, anche a tavola, sì! Guardarsi dentro e indietro, riconciliandosi con se stessi, con i propri genitori, con i propri amori e con gli inevitabili dissapori di cui il vissuto di ognuno è spesso seminato. 
E magari, con un po’ d’ironia, c’inviterebbe a fare un bel brindisi alla bellezza di ritrovarsi, con la certezza di saper trasformare il tempo in sapore e il ricordo in piacere!