Sensualità a ritmo di clave

 
“Vengo de Nigeria, Yoruba y Carabalì
Nigeria y Congo son mi tierra
Mozambique y Angola soy de allì
Esa musica que heredamos
Hijos y nietos de los africanos …”
“Vengo dalla Nigeria, Yoruba e Carabalì, Nigeria e Congo sono la mia terra, Mozambico e Angola, io sono di là, questa è la musica che abbiamo ereditato, figli e nipoti degli africani …”
Era il 1997 quando Los Van Van, storica band cubana, incendiava le piste da ballo con “Esto te pone la cabeza mala”. A quell’epoca conoscevo ancora poco delle tradizioni musicali di Cuba ma ballare per me era una droga. Non perdevo occasione per abbandonarmi alla danza e inseguire i concerti dei gruppi che concedevano la loro esplosiva energia al timido pubblico milanese.
Ballare a ritmo di salsa significa abbandonarsi al flusso prorompente delle percussioni. Bongos e tambores diventano un tutt’uno col battito del cuore. E’ un po’ come entrare in trance, posseduti dentro un vortice sempre più concitato di giravolte e ondeggiamenti. Ho sempre pensato che questo tipo di danza rappresentasse un modo socialmente accettabile per comunicare la propria carica erotica, possibilmente con un partner complice. I due corpi si intrecciano, uniti da un linguaggio fatto di movimenti allusivi e sguardi esclusivi, incomprensibili agli altri. Perché una coppia quando balla diventa un corpo unico. E’ un’ espressione della sensualità che a Cuba, in special modo, viene esaltata e accettata come qualcosa di naturale e fisiologico. Un’ eredità fondamentale della cultura africana, che tanto ha determinato l’identità nazionale del popolo cubano.
Laggiù è facile lasciarsi andare. Non per niente si parla di Isla caliente. La musica è nell’aria, la si respira, scorre nelle vene, la gente non cammina ma balla, di giorno e di notte, nelle case, per le strade, sulle guaguas, gli scalcinati autobus locali. Dappertutto traspira la sensualità che musica e danza, insieme, diffondono.
Pare che lo stesso Cristoforo Colombo, giunto a Cuba nell’ottobre del 1492, restò colpito dall’esuberanza degli indigeni, con quella loro naturale propensione per i balli, i cosiddetti areitos. Era sorprendente come, sotto gli effetti dell’alcool e del tabacco, riuscissero a ballare per ore ed ore a suon di guiros, maracas e mayahoacàn.
Anche se la musica degli areitos si è persa col tempo, insieme ai suoi interpreti, decimati dalle epidemie e dalla schiavitù, gli strumenti musicali, la chiave ritmica, i canti, i passi di danza si sono tramandati fino ad oggi, mescolandosi via via con influenze americane ed  europee, fino ad arrivare alla salsa di oggi. Musica e ballo sono la migliore accoppiata della storia culturale cubana. E’ impossibile scinderli. Ed è impossibile godere appieno del piacevole stordimento che una rumba, un bolero e un mambo trasmettono se non si scava dentro al significato di questi ritmi. Perché questi balli non sono solo semplici esibizioni da palcoscenico ma linguaggi, storia e cultura da conoscere e capire.
L’origine di queste danze va cercata lontano, al tempo delle colonizzazioni, quando migliaia di schiavi africani venivano portati a Cuba, costretti a lavorare nelle piantagioni di tabacco e canna da zucchero. Insieme agli schiavi approdarono sull’isola le loro tradizioni e le loro credenze religiose che si esprimevano in canti e rituali frenetici. Accompagnato dal suono incalzante dei tamburi, il crescendo ritmico portava ad uno stato di trance. L’incrocio dei riti africani con la religione spagnola ha dato vita a una serie di culti sincretici che ancora oggi vengono praticati sull’isola. La Santeria è la più diffusa e la più complessa e si manifesta, oggi come allora, in rituali fatti di  danze in cui si rappresentavano la vita e le gesta degli Orishas, dèi tutelari delle tribù. E la musica, sempre presente nei deliri delle preghiere dei neri yoruba, era composta da basi ritmiche e melodie vocali scandite da tamburi e percussioni, detti Batà, che venivano custoditi nelle case-tempio Ilè Ochà dei Santeros e dei Babalawos, i capi spirituali.
Cuba è oggi uno dei pochi paesi al mondo in cui la religione si vive quotidianamente con allegria e le cerimonie sono vere e proprie feste, in cui abbondano cibo, rum, tabacco e musica appunto, in un’esaltazione del corpo e delle gioie terrene.
Ma è l’incontro con la cultura ispanica, prima, e francese e nordamericana, più tardi, ad aver fornito alla musica cubana quell’identità propria, inconfondibile e contagiosa che ha dato vita ai ritmi, generi, figure e balli che oggi vanno tanto di moda. Due sono le influenze artistiche che hanno portato all’evoluzione dell’attuale salsa. Innanzitutto il danzòn, ballo da sala frutto della contraddanza francese nato nel 1871, quando un musicista di Matanzas, Miguel Faìlde, interpretò quello che viene considerato appunto il primo danzòn, Las alturas de Simpson.
Da allora esso ha subito diverse trasformazioni fino a diventare il ballo da sala più popolare in Messico per tutto il XX secolo. L’orchestra che suonava danzònes, costituita da piano, flauto e violino, era conosciuta come tipica o charanga ed è tuttora la base dei gruppi musicali cubani più in voga. Ciò che contraddistingueva il danzòn rispetto ai precedenti balli da sala era una sfrontata sensualità e allusività dei movimenti. Tanto da risultare scandaloso, soprattutto tra i bianchi dell’epoca. La carica erotica venne man mano esasperata fino a trasformare il danzòn in rumba, in cui il contatto fisico era portato all’eccesso da scosse di spalle, vita e pelvi, in un’imitazione senza ritegno dell’atto sessuale.
  Il secondo contributo musicale fondamentale è il son, ritmo mulatto, meno bianco del danzòn ma anche meno nero della rumba, amalgama di elementi ispanici e africani, che riassume in sé l’intero patrimonio culturale cubano. Nato nella campagna d’oriente di Cuba, a Santiago, nella seconda metà del secolo scorso, ha attraversato tutta l’isola, arrivando fino a La Habana e da lì ha invaso tutto il mondo. La ritmica del son è data dalla clave, due bastoncini di legno percossi tra loro secondo una misura matematica, che forma la struttura portante dell’orchestra. Ma la clave è molto di più perché fornisce ai ballerini la frase musicale su cui giocare i passi. E’ uno schema mentale che permette l’intesa dei movimenti all’interno della coppia.
 Ancora oggi si ballano bellissimi pezzi rivisitati del Sexteto Habanero, del Trio Matamoros o di Arsenio Rodriguez, il “cieco meraviglioso”. Pur con l’introduzione di strumenti e orchestrazioni moderne non si perde nel tempo l’anima del vecchio son.
A partire da questi storici soneros, esso ha vissuto uno sviluppo vertiginoso, mescolandosi sempre più con i ritmi puertoricani e newyorkesi che come un boomerang rimandavano sull’isola novità musicali, strumentali e ritmiche non più riconducibili ad alcun genere preesistente. Fu Benny Moré con la sua Banda Gigante, negli anni cinquanta, a trasformare definitivamente il son in un punto di riferimento insostituibile per tutti i musicisti salseri. Dopo di lui, infatti, si cominciò a parlare di salsa, per cercare di definire un miscuglio musicale nuovo, saporito, tutto da gustare. Oltretutto il fatto che dentro Cuba non ci fosse l’esigenza di competere commercialmente per vendere musica, ha lasciato spazio e tempo per sperimentare sempre nuovi stili e forme musicali, senza compromessi e oltre ogni schema rigido, spaziando dall’afro al jazz, dal pop al rock. Ma mai perdendo il ritmo del cuore del son.
Oggi si parla di salsa cubana, puertoricana, venezuelana, free style, new york style e timba ma nulla toglierà al son la paternità di un ritmo e di un modo di ballarlo che è diventato banalmente di moda. Quanti italiani sono stati trascinati ad iscriversi a scuole di ballo e a frequentare lezioni, nel tentativo disperato di educare i piedi e sciogliere le cintole, ostentando una sensualità impropria e spesso ridicola! Il problema vero, per la maggior parte di loro, è l’incapacità di abbandonarsi, di liberare la mente, oltre che il corpo. Prevale il desiderio di esibirsi agli occhi del pubblico. Niente di più sbagliato. Il ballo è un fatto privato, intimo. Si potrebbe ballare ad occhi chiusi. Seguire e accompagnare il proprio partner in un dialogo segreto, comunione di spirito e corpo, legati in armoniosa sinergia.
Questo dovrebbe essere il ballo. Gioia, energia, vita! Così come gli schiavi yoruba si riscattavano dalle oppressioni attraverso l’espressione del corpo nella musica anche noi dovremmo imparare a sentirci liberi ballando. E magari cantando con Los Van Van …
“Bombo canilla y campana
Un buen guiro y hasta manana
Ay con este ritmo tan afinca’o!
Bailen bien que aquì el que baila gana
Esto te pone la cabeza mala”
“Cassa, bacchetta e campana, un buon guiro e fino al mattino, con questo ritmo così coinvolgente, balli bene chi ha voglia di ballare, questo ti fa impazzire …”