La scienza del piacere

Che cos’hanno in comune i rospi e i macachi, un buon piatto e un bel quadro, il sesso e il cannibalismo, il collezionismo e il voyeurismo … Darwin e Rozin?
Tutte queste cose, apparentemente pescate a caso, in realtà hanno in comune qualcosa di molto attraente, profondo e misterioso: il Piacere!
Lo dimostra un libro acuto e divertente, scritto da Paul Bloom – docente di Psicologia e Scienze Cognitive a Yale – intitolato “La scienza del piacere”, edito da Il Saggiatore. Il titolo originale è assai più accattivante rispetto alla traduzione italiana ed esprime molto bene il contenuto del saggio: “How Pleasure works: the new science of why we like what we like”, ovvero “Come agisce il piacere: la nuova scienza del perché ci piace ciò che ci piace.”
Bloom riprende un pensiero che aveva già espresso in un suo precedente saggio, “Il bambino di Cartesio”, e cioè che siamo tutti tendenzialmente dualisti cartesiani, perché vediamo il mondo fatto sia di cose, sia di anime, res cogitans e rex extensa. Ebbene, l’idea che anima questo nuovo libro va oltre: il piacere è una cosa seria, ha radici profonde, universali, che trascendono i sensi, ma nello stesso tempo è anche frutto dell’evoluzione, dell’adattamento e della cultura. Il piacere è, quindi, animale ma è anche intelligente. Perciò, per essere compreso nella sua complessità, va esplorato abbeverandosi a più rami del sapere, che spaziano dalla psicologia cognitivista alla filosofia, dall’evoluzionismo darwiniano alle neuroscienze.
La chiave interpretativa di Bloom è l’essenzialismo. In sintesi, il godimento che traiamo da qualcosa non dipende tanto da come quel qualcosa appare ai nostri sensi, bensì da ciò che noi pensiamo esso sia. Questo vale sia per piaceri intellettuali e mentali, come l’apprezzamento di un’opera d’arte o di un racconto letterario, sia per quei piaceri più immediati e godibili, come la soddisfazione della fame o il desiderio sessuale.
Questa teoria del piacere è l’estensione di uno dei concetti fondamentali delle scienze cognitive, ovvero l’idea secondo la quale le persone danno per scontata la presenza di un’essenza invisibile all’interno delle cose e delle altre persone, quell’essenza unica e irripetibile che fa di loro ciò che sono. Un quadro, per esempio, acquista un particolare valore per un intenditore perché è opera di un preciso autore, al di là del soggetto dipinto. Un altro esempio rubato al libro aiuta a capire quanta concretezza ci sia in quest’idea apparentemente astratta di essenzialismo: “In passato ho lavorato con alcuni bambini autistici e mi ricordavano continuamente di chiamarli ‘bambini affetti da autismo,’ e non ‘autistici’, perché le persone non sono soltanto la loro malattia!”
Cos’ha a che fare, dunque, l’essenzialismo con il piacere?
Ci sono adolescenti che amano tagliarsi con il rasoio o trapuntarsi di piercing; uomini disposti a pagare profumatamente per essere sculacciati; c’è chi preferisce guardare Friends alla tv, piuttosto che uscire con gli amici; chi pratica più volentieri il sesso virtuale rispetto a quello reale; uomini che si eccitano prepotentemente al pensiero di possedere una vergine e donne che vogliono sentirsi bambine in mano a vecchi sporcaccioni; e c’è chi ama andare al cinema per piangere, chi per spaventarsi a morte e chi si eccita davanti ad un incidente cruento per la strada. Perché?
Con un susseguirsi di esempi interessanti, a volte sconcertanti, altre spassosissimi, Paul Bloom arriva dritto al centro del piacere. E lo fa partendo da alcuni casi estremi, perché è proprio dagli eccessi che spesso si riesce a raggiungere il cuore del discorso.
Prendiamo il caso di Armin Meiwes. Nel 2003 questo signore tedesco di 42 anni, esperto di computer, pubblicò un annuncio in rete per trovare qualcuno da uccidere e mangiare! La cosa ancor più straordinaria è che all’annuncio risposero centinaia di persone, tra le quali Meiwes scelse Barnd Brandes. I due s’incontrarono una notte, in una piccola cittadina della Germania; chiacchierarono un po’ e dopo che Brandes ebbe scolato una bottiglia di schnapps condita da diversi sonniferi, Meiwes “gli tagliò il pene e lo frisse nell’olio d’oliva, i due cercarono di mangiarlo insieme ma non ci riuscirono. Meiwes si mise a leggere un romanzo di Star Trek e Brandes, che ormai sanguinava copiosamente, si stese nella vasca. Qualche ora dopo, Meiwes uccise Brandes pugnalandolo al collo dopo averlo baciato. Poi lo fece a pezzi e lo mise nel freezer accanto alla pizza. Nelle settimane successive scongelò un pezzo del corpo alla volta e lo cucinò con olio d’oliva e aglio, arrivando a mangiarne una ventina di chili.”
Ora, al di là di tutte le considerazioni psicologiche, sociologiche e cliniche che il caso solleverebbe, questa storia grottesca è un po’ l’archetipo dell’essenzialismo e del suo ruolo nel perseguimento del piacere.  Mangiando Brandes, infatti, Meiwes era convinto di introiettare la sua essenza, non semplicemente la sua carne. Dopo averlo mangiato, si era sentito più stabile: “A ogni boccone, il mio ricordo di lui diventava più intenso.” Asseriva, persino, che il suo inglese fosse migliorato.
Per la cronaca, Meiwes fu condannato, ovviamente, mentre non si saprà mai perché Brandes stette al gioco, rubando oltretutto il ruolo di protagonista a centinaia di altri bizzarri candidati …
Questo racconto è raccapricciante ma il libro di Bloom non è macabro. Tutt’altro: stupisce e riesce a far sorridere aprendoci gli occhi su un universo oscuro e contradditorio che fa parte di noi, senza bisogno d’essere potenziali cannibali o feticisti o voyeuristi.
E’ delizioso, per esempio, quando affronta il concetto di bedtricks, termine inventato da Shakespeare per indicare quelle situazioni in cui avviene un inconsapevole scambio tra le lenzuola: “Immaginate di scoprire che vi eravate sbagliati sulla persona con cui avete appena fatto sesso. Pensavate fosse vostro marito, invece è il suo gemello; oppure pensavate fosse una prostituta, invece era vostra moglie che fingeva d’esserlo per mettere alla prova la vostra fedeltà”. Infiniti sono gli esempi di quest’ossessione amorosa: la storia, la letteratura, il cinema, persino la vita di tutti i giorni ne è piena. Ed è un’altra dimostrazione del fatto che il piacere non è solo questione di sensazioni fisiche, ma dipende anche da chi si crede sia la persona che tocchiamo, baciamo, possediamo. Lo stesso vale per chi l’amore lo fa virtualmente, colmando la distanza e l’assenza con la propria immaginazione, colorando la persona desiderata di qualità piacevoli, godibili, affini a ciò che si è. Persino leggendo un bel libro o gustando un’opera teatrale, o un film, il meccanismo è lo stesso: l’immaginazione è come un reality, un comodo sostituto di un piacere inaccessibile, troppo rischioso o faticoso da ottenere.
L’empatia è tipicamente umana. In quest’aspetto il piacere dell’animale uomo (e donna) si distingue clamorosamente rispetto da quello animale. E’ vero che i macachi si masturbano fino all’ossessione ma avranno fantasie sessuali? Immagineranno una bella macaca con cui condividere l’amplesso o sfogheranno semplicemente il proprio impulso? “Se un rospo vede qualche cosa che si muove, ci sono tre possibilità: se è più grande di lui, scappa; se è più piccolo, lo mangia; se è delle sue stesse dimensioni, si accoppia! Se la creatura con la quale si accoppia non protesta, probabilmente è della stessa specie e del sesso giusto!”
Sommessamente, mi sento di aggiungere che qualche uomo simile al rospo m’è capitato d’incontrarlo! E sono certa che ne esistano anche alcuni che, come i macachi, sanno provare piacere senza fantasia, godendo (e facendo godere!) solo a metà, ahimè!
Una cosa è certa: leggendo “La scienza del Piacere”, io ho provato piacere. Mi sono appassionata, sorpresa, eccitata e divertita, provando quel senso di riverente stupore che solo la Scienza suscita, soprattutto quando è raccontata in maniera così seducente.

E siccome il piacere è più bello se condiviso, consiglio a tutti di leggere questo libro, chissà mai che a qualche rospo non capiti di trasformarsi in un bel principe azzurro!