Il colore del bacio

L’articolo che avevo scritto settimana scorsa sul pettegolezzo ha suscitato parecchie curiosità. Alcune persone mi hanno scritto chiedendomi se anche le coccole e, soprattutto, i baci potessero avere la stessa atavica origine e derivassero, quindi, dall’evoluzione dell’uomo.
Ebbene, sollecitata da questi interrogativi, mi sono informata e ho imparato qualcosa d’interessante che spero affascini anche voi. Premetto che mentre c’è concordanza tra gli scienziati sul fatto che carezze e coccole appaghino i bisogni primari di appartenenza e familiarità – sia nei primati, sia negli umani – più complesso è il significato sociale del bacio. Da un punto di vista evolutivo, non è chiaro se noi umani ci baciamo per puro istinto o per apprendimento culturale. Si sa solo che ci piace farlo. Lo stesso Darwin, nel suo trattato “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, del 1872, era molto incuriosito da questo comportamento affettivo. Notava che il bacio, in varie parti del mondo, era espresso con lo strofinamento dei nasi, anziché con l’unione delle labbra e fosse comunque qualcosa di molto antico. Il coinvolgimento del naso gli fece pensare che l’annusare fosse legato alla necessità di stabilire un rapporto con gli altri. Tuttavia, riconobbe anche un evidente desiderio di scambiarsi piacere attraverso questo contatto ravvicinato. Darwin concluse, dunque, che il bacio, sia labiale che nasale, fosse un comportamento innato ed ereditario, rinforzato dal piacere.
Oggi, alcuni antropologi cercano di mettere in discussione quest’ipotesi, considerando il bacio come un’espressione puramente appresa e culturalmente diversificata. Tuttavia, il buon vecchio Darwin resiste, anche perché la sua accezione originaria di bacio comprende una vastissima gamma di atteggiamenti, comuni sia agli umani sia ai primati: accostare le guance, strofinarsi, darsi colpetti sulle braccia, sul petto o sullo stomaco o portarsi al viso le mani o i piedi altrui. Probabilmente, il bacio labiale come lo concepiamo noi, è frutto sia dell’esperienza della nutrizione durante la primissima infanzia, sia dell’annusare un altro individuo per riconoscerlo o misconoscerlo (cosa che facciamo normalmente tutti i giorni, anche se inconsapevolmente). Entrambe le esperienze – nutrizione e annusamento – sarebbero a loro volta intrecciate nell’interconnessione tra visione dei colori, desiderio sessuale ed estroflessione delle labbra, assai accentuate negli umani rispetto ai primati. Milioni d’anni fa, infatti, i nostri antenati frugivori dovettero affinare i sensi per sopravvivere. L’olfatto non bastò più a un certo punto e la vista prese il sopravvento: imparare a individuare a distanza le diverse sfumature di rosso fu indispensabile per scoprire tra i cespugli i frutti più maturi e le bacche più nutrienti. Il segnale ‘rosso’, nel corso dell’evoluzione, ha significato quindi ‘ricompensa’ e tale corrispondenza si è fissata nei circuiti neurali degli ominidi trasferendosi fino a noi. Si sa, infatti, che il rosso accelera i battiti cardiaci e le pulsazioni, creando uno stato d’eccitazione e aspettativa. Secondo uno dei più autorevoli neuroscienziati, Vilayanur Ramachandran, i nostri antenati condizionati al ‘rosso = cibo’, hanno spostato la stessa attenzione sulle parti del corpo di colore rosso, trovandole altrettanto attraenti delle bacche e dei frutti. In pratica, il colore rosso è diventato il segnale di ottenimento del piacere non solo dal comportamento di ‘mangiare’ ma anche di ‘fare sesso’. Basta pensare al ‘di dietro’ delle femmine di certe scimmie quando sono in estro per capirlo: sembrano dei cuscini prêt-à-portergonfi e rossi come il fuoco, segnale del momento buono per accoppiarsi. In senso traslato, è lo stesso richiamo sessuale che le donne umane lanciano attraverso le labbra.
Ma come s’è spostata l’attenzione dalle parti basse alle labbra? L’evoluzione sarebbe avvenuta con il passaggio dalle quattro zampe alla postura eretta, un’elevazione che ha trasferito i segnali sessuali femminili più vistosi dal basso all’alto, col conseguente spostamento  dello sguardo maschile. Le labbra sarebbero, dunque, un’eco genitale, come ben lo definisce lo zoologo britannico Desmond Morris: la bocca femminile somiglia alle labbra intime, per consistenza, spessore e colore. Infatti, con l’eccitazione, anche le labbra della bocca s’inturgidiscono e s’arrossano, diventando più gonfie, sensibili e attraenti. In fin dei conti, noi donne utilizziamo i rossetti proprio per accentuare questo atavico messaggio, anche se lo facciamo inconsapevolmente, mascherandolo dietro effimera vanità. Pensate che i primi rossetti sembrano risalire a cinquemila anni fa, ai Sumeri, mentre le donne egizie, greche e romane usavano bacche e vino rosso per rosseggiare le labbra e invogliare gli amanti a voluttuosi baci.
Un’ipotesi ulteriore, proposta sempre dal genio di Morris, è che l’eco genitale della femmina appaia anche di foggia perfetta per suggere il capezzolo, altro richiamo sessuale necessario all’evoluzione. Ebbene, con la postura eretta, le labbra rosse non furono il solo segnale migrato dal basso all’alto, poiché anche il seno divenne gradualmente più vistoso e nudo di peli, per evocare la tonda morbidezza delle natiche. Non sorprenderebbe, seguendo Morris, che l’evoluzione abbia plasmato capezzolo e labbra in modo da stare bene insieme per nutrire e dare piacere, dato che l’allattamento soddisfa anche il bisogno ancestrale di sicurezza, fiducia e amore, con la conseguente cascata chimica che inebria il cervello.
Visto così, il bacio è senz’altro rosso e anche se s’allontana un po’ dalla visione romantica che ne abbiamo, ci fa capire quanto sia intimamente connesso con la nostra natura primordiale. Lo dimostrerebbe anche il fatto che non solo noi umani ci scambiamo labbra, lingua, alito e saliva. Lo fanno anche gli animali, a modo loro. I bonobo, per esempio, si baciano esattamente come noi, spessissimo e con evidente godimento. Lo fanno, però, per ragioni non necessariamente legate al sesso e alla riproduzione: si baciano per risolvere conflitti nel gruppo, per consolidare relazioni, per calmarsi dopo uno spavento o per sfogare ansie troppo intense. Ma anche tanti altri animali si baciano: i gatti si scambiano delicate leccatine sulla testa; i cani, le mucche e i cavalli si leccano con avidità da ogni parte del corpo tecnicamente raggiungibile; i criceti aderiscono muso a muso; gli scoiattoli si strofinano i nasi come gli eschimesi; le tartarughe si danno piccoli colpi con le teste; le giraffe intrecciano i colli; gli elefanti si esplorano con le proboscidi; e persino certi pesci tropicali (i gourami) aderiscono bocca a bocca spesso e volentieri. Sono tutti comportamenti di scambio olfattivo, gustativo e tattile che somigliano molto a quello che per noi rappresenta il bacio e, pur non avendo nulla a che fare con l’innamoramento, soddisfano gli stessi nostri bisogni primari.
Insomma, probabilmente il bacio fa parte del nostro retaggio evolutivo ed è quindi imparentato con lo spulciamento, il linguaggio e il pettegolezzo. Di certo, quest’appassionato comportamento sociale è molto più piacevole di altre eredità e nei secoli s’è diffuso ovunque, modificandosi con le mode e le culture, contagiando anche i popoli più refrattari. In qualsiasi maniera si manifesti e lo si chiami –alla francese, all’eschimese, con la lingua, sulle guance – il bacio è un meraviglioso istinto che non mente, un linguaggio universale che allaccia visceralmente due anime trascendendo i corpi. Con il bacio si conosce l’altro raggirando tutte le sovrastrutture razionali e logiche che l’essere umano ha sviluppato, trovandosene suo malgrado spesso prigioniero. Baciare è il preludio erotico che muove la carne senza interferenze, è sentire il fremito del corpo là dove esso sgorga, cavalcando i sensi fino a penetrare le emozioni più segrete. Ammettiamolo: un bacio soffice, lento e profondo scioglie le pieghe più intime del nostro essere e può sconvolgere più di un focoso amplesso.
In conclusione, è affascinante riscoprire ogni tanto la scimmia che c’è in noi. E se non è il bacio in sé a renderci creature speciali sulla Terra, ci resta sempre il privilegio di poter descrivere questa magica alchimia. Personalmente, ritengo che il bacio sia un’arte animata dalla complicità e che nessuno meglio degli innamorati possa esprimerne l’essenza. Forse, solo i poeti rasentano i sospiri degli amanti e possono prestar loro le liriche adatte a ricamare la passione. Una delle definizioni più belle e originali del bacio, a mio parere, è stata scritta proprio da un poeta e drammaturgo francese, Edmond Rostand, che nel suo Cyrano de Bergerac lo colora così:
“Ma poi che cos’è un bacio? Un giuramento fatto un poco più da presso, una promessa più precisa, una confessione che si vuol confermare … un apostrofo rosa messo tra le parole T’amo.”